[ Interviste / Interviews ]

 

Intervista a LHAM (Giuseppe Verticchio e Bruno De Angelis) a cura di Davide Riccio.
Pubblicata su Kult Underground, Febbraio 2023.

 

DAVIDE: Ciao Giuseppe. Due mesi fa ho parlato con Bruno del mini-album “Slow Burner”, uscito solo in digitale. Di “Slow Burner”, che avevo pensato un anticipo o un assaggio di un successivo album, non avete invece ripreso nulla nel nuovo CD “They Cast No Shadows”. Perché avete differenziato questo vostro nuovo materiale, lasciandone una parte alla sola fruizione liquida?

GIUSEPPE: La storia è un po’ lunga. Dopo il primo CD “Leaving Hardly a Mark” Bruno aveva già suggerito l’idea di un EP da far uscire in sola versione digitale. Io, come ormai avrai capito, non amo molto il digitale se non come opzione “aggiuntiva” ad un’uscita fisica su CD; nel senso che per me una release “vera” non può prescindere dall’esistenza di un supporto fisico.
E preferibilmente supporto CD, in quanto anche il vinile, per quanto sia tornato di gran moda, io lo considero una “mezza” release, essendo rivolto più ad un target focalizzato sul puro collezionismo e sull’estetica dell’oggetto (è indiscutibile infatti che la grande, bella confezione di un vinile, magari anche colorato, è molto più “accattivante” rispetto al CD) che non al vero appassionato di musica, che ama sì un oggetto fisico, ma cha da esso “pretende” anche la migliore qualità sonora, priva dei rumori e dei limiti tipici del vinile, e delle alterazioni “peggiorative” che prima ancora che il vinile venga stampato, si è costretti ad effettuare, a livello di mastering, per consentire la “compatibilità” e quindi la riproducibilità della musica attraverso tale vetusto supporto.
Tornando alla domanda (già ho divagato troppo…) dopo l’uscita del primo CD di LHAM ho accettato (pur con scarsa convinzione, lo confesso) di lavorare ad un EP digitale, e dopo un certo periodo avevamo pronta una mezz’ora abbondante di musica. Che a me pareva fantastica… tanto bella che mi sembrava “sprecata” usarla soltanto per un EP digitale… E così ho “sfacciatamente” rilanciato, proponendo a Bruno di implementare quel materiale (avevamo ancora qualche brano inedito registrato da usare che “calzava” a pennello) per realizzare un nuovo “vero” CD fisico, accantonando temporaneamente l’idea del digitale.
Bruno è stato molto accondiscendente, forse si è reso conto anche lui che avevamo tra le mani il miglior materiale mai registrato insieme, e così abbiamo fatto. E il risultato di tutto ciò è confluito nel CD “They Cast No Shadows” appena uscito.
Di fatto però la pubblicazione del CD ha richiesto parecchio tempo, circa un anno, e quindi nel frattempo ho voluto dare seguito anche all’idea “originale” di Bruno, e abbiamo messo sù “Slow Burner” uscito quindi in solo formato digitale a novembre scorso.
Ad essere onesto… anche questo materiale mi sembrava un po’ “sprecato” per un’uscita solo digitale, ma questa volta ho voluto tenere fede all’impegno preso con Bruno e lo abbiamo fatto uscire, fermo restando che, in cuor mio, confido in un futuro “recupero” di questi brani, che potremmo senz’altro integrare con altri per mettere a punto un album di lunga durata da pubblicare su CD fisico. Per ora comunque questo è solo un mio desiderio e una eventuale possibilità…

DAVIDE: È passato invece un anno dal precedente “Leaving Hardly a Mark”. Cosa continua e cosa invece ha introdotto di nuovo nel vostro lavoro e nella vostra poetica “They Cast No Shadows”?

GIUSEPPE: La metodologia di lavoro, l’approccio, e tutto sommato le idee di base rimangono esattamente le stesse, e quindi da questo punto di vista l’album è il logico e coerente prosieguo di quanto fatto nel primo CD. Quello che è cambiato, e che secondo me ci ha fatto ottenere un risultato ancora migliore e con meno “lavoro” dietro, è che abbiamo probabilmente “messo a fuoco” meglio l’obiettivo. Reduci dell’esperienza del primo lavoro, eravamo entrambi consapevoli di cosa aveva “funzionato” meglio e cosa meno, e quali fossero le “esigenze” e i “gusti” dell’altro, cosa di cui, inevitabilmente, si deve tenere conto in una collaborazione. Per questo Bruno, che in questo progetto mi “offre” sempre il punto di partenza per un nuovo brano, mi ha proposto delle “basi” (chiamiamole così) con le quali forse ero in maggiore sintonia, e su cui ho potuto lavorare con più facilità e spontaneità.
Per fare degli esempi banali… a Bruno non piace particolarmente l’uso di field recordings… o suoni tipo fruscìi, rumore rosa o simili… non ama i brani troppo lunghi… o parti troppo “statiche” … Quindi preso atto di questa sua esigenza, ho ridotto il più possibile l’uso di queste soluzioni, risparmiando tempo prezioso, ed evitando così in fase di registrazione e mix di intervenire più volte su un brano con aggiustamenti, modifiche, eliminazioni di parti o quant’altro.
A me invece, tanto per dire, non piacciono troppo quei suoni di synth che mi ricordano una certa musica ambient e space music degli anni ’90, spesso elaborata con suoni di sintetizzatori digitali che ormai trovo piuttosto “antiquati”. Così come non mi piacciono suoni troppo spiccatamente elettronici “ad effetto”… che possano ricordare una navetta spaziale che decolla, o “suonetti” un po’ da film/telefilm di fantascienza.
Si tratta di due esempi qualsiasi, e a dire il vero non ricordo neanche se con Bruno abbiamo mai parlato espressamente di queste cose o no, ma sta di fatto che in qualche modo abbiamo entrambi “focalizzato” meglio il da farsi, e il passo avanti fatto con “They Cast No Shadows”, rispetto al CD d’esordio del progetto, secondo me è davvero notevole.

DAVIDE: Quali sono le parole chiave di questo lavoro? Quali mete vi eravate prefissati, come e verso dove, cosa in particolare volevate esplorare al principio, diciamo prima del viaggio, e che tipo di viaggio musicale e sonoro è infine stato per voi?

GIUSEPPE: Ti ho già raccontato un po’ la “genesi” di questo album, il fatto che in origine stavamo registrando con l’idea di fare un EP digitale che poi è diventato un CD di lunga durata, descrivendoti anche in che modo questo nuovo album si è “naturalmente” evoluto rispetto al nostro primo lavoro.
Dal punto vista prettamente “musicale” non avevamo mete, idee, o linee guida diverse dal nostro “solito” (obiettivo fondamentale… fare “buona” musica insieme), o da quanto avevamo in mente quando abbiamo lavorato al primo CD.
Sicuramente entrambi volevamo riuscire a mettere a punto un album che fosse coerente con il discorso già iniziato, mantenendo la nostra “impronta stilistica”, ma andando ancora un po’ “oltre” quanto a “qualità”, sonorità ed “ispirazione”. E onestamente… siamo entrambi abbastanza certi di esserci riusciti.  

DAVIDE: Che genere di equilibrio avete raggiunto nel lavorare insieme? Cos'è tuo in particolare, cosa è di Bruno e cosa diventa idealmente LHAM?

GIUSEPPE: Beh, diciamo che a questo punto abbiamo sicuramente dei punti “fermi”, che diamo abbastanza per “scontati”, che ci consentono di procedere con meno incertezze e più determinazione.
Bruno dà sempre l’input per ogni brano, una base più o meno elaborata (a seconda dei casi) su cui io intervengo liberamente, ma cercando di “rispettare” quanto già c’è, aggiungendo nuove parti e cercando di “aggiustare” al meglio il suono. A volte ci “passiamo” il risultato più volte… anche se ultimamente i “passaggi” si sono ridotti al minimo, perché il più delle volte Bruno mi manda delle parti già abbastanza elaborate e strutturate, e quindi non sorge la necessità di aggiungere e aggiungere di nuovo più volte.
Poi ancora… Io mi occupo abitualmente del “risultato sonoro” finale, quindi ultimissimo mix e mastering, mentre Bruno è quello che ha più idee (e migliori) di me sui titoli di brani e CD, quindi lascio volentieri a lui le decisioni (comunque concordate) in merito a questo aspetto…
Poi ancora… Bruno sa realizzare dei bellissimi video… quindi i video “promozionali” li realizza solitamente lui, anche se in questo caso specifico il video per il brano “Tomorrow You Will” l’ho fatto io per ragioni puramente “logistiche”. Bruno però ha realizzato quelli per il brano “Linguellae” (appena pubblicato sul canale di Silentes) e per “Cai Cutu” (di prossima pubblicazione).
Diciamo che in qualche modo nel tempo abbiamo ormai definito e consolidato alcuni “ruoli”, in base alle naturali “attitudini”, esigenze e “competenze”, e questo “ingranaggio” è ciò che alla fine fa di noi “LHAM”…
 
DAVIDE: Perché “They Cast No Shadows”? Cosa sono tenebra, ombra e luce nella musica?

GIUSEPPE: Come accennato poco sopra, l’idea del titolo del CD è stata di Bruno. A me è subito piaciuta, e senza pensarci troppo l’ho “accolta” e sottoscritta volentieri. Magari Bruno potrebbe aggiungere qualcosa di più specifico.
Per il resto… tenebra, ombra e luce nella musica sono ovviamente delle suggestioni, peraltro non “traducibili” sempre in modo univoco, seppure sicuramente un drone continuo su basse frequenze “suggerirà” di più l’idea del buio, mentre una sequenza di suoni melodici dal timbro cristallino ed etereo suggerirà all’opposto un’idea di “luce” … Ma sto dicendo una banalità.
Con certezza la musica, almeno quella più “genuina” (non parlo della sperimentazione fine a sé stessa) mira a suscitare emozioni ed evocare immagini, ricordi, pensieri… E la gamma di queste emozioni ed immagini è ampia quanto la nostra sensibilità e la nostra capacità percettiva. Quanto più siamo “sensibili” e “percettivi”, quanto più la musica potrà “toccare” le nostre corde interiori, restituendoci emozioni e “vibrazioni” (consentimi questo termine seppure abbondantemente abusato negli stucchevoli ambienti New Age e dintorni) anche a livello inconscio e subliminale. La musica è un mistero… so che sto dicendo l’ovvio, ma per me che la vivo così intensamente, e da così tanti anni, non c’è altro termine per definirla meglio. 

DAVIDE: Cosa rappresentano le immagini della copertina? Si direbbero particolari di un qualche carnoso fiore esotico. Cosa volevate simboleggiare o richiamare in prima battuta?

GIUSEPPE: Le immagini utilizzate per le grafiche, in entrambi i CD di LHAM, sono di Stefano Gentile. Anche per “They Cast No Shadows” infatti, quando Stefano Gentile di 13/Silentes ci ha confermato la sua intenzione di pubblicare l’album, abbiamo deciso di affidare a lui il compito di scegliere delle immagini e mettere a punto delle grafiche.
Stefano è molto in gamba in questo, ha un archivio di bellissime foto, so che gli fa piacere occuparsi di questo aspetto creativo, e quindi non avendo noi ancora un’idea precisa in merito, abbiamo volentieri affidato nuovamente a lui l’onere e l’onore di progettare l’artwork.
Il risultato, come sempre, ci è piaciuto molto, e quindi lo abbiamo approvato senza che ci fosse, da parte nostra, un’idea, un significato o men che mai una “simbologia” specifica “premeditata” in proposito.

DAVIDE: Inevitabile curiosare tra i titoli e cercare una relazione con la musica strumentale che titolano, così che ho scoperto i “Cai Cutu” essere una famiglia sepolta in una tomba etrusca a Perugia, che “Sic Mundus” è una società segreta di viaggiatori del tempo ecc. So che in genere ti dedichi alla musica tendenzialmente assoluta o astratta, ma scegliere un titolo, soprattutto se descrittivo di un qualcosa che è al di là della musica stessa, non è già un modo di fare come una musica a programma?

GIUSEPPE: Avendoti già spiegato che per quanto riguarda i titoli la scelta è stata di Bruno, che quindi spero abbia voglia di approfondire più in dettaglio, ti rispondo invece al quesito più “generico”.
Nella mia musica personale, i titoli (di brani e CD) sono raramente molto descrittivi e “specifici”, salvo laddove ci sia effettivamente a monte un’idea o un progetto preciso, per il brano specifico o per l’album in cui esso è contenuto.
Faccio qualche esempio per spiegarmi meglio. Il mio recente CD di Nimh “Iron and Ice” non è nato a monte con un’idea o un “soggetto” specifico in mente (a parte ovviamente un’idea di massima sul genere di sonorità che intendevo esplorare), e quindi i titoli dei brani offrono solo delle marginali “suggestioni”, uno spunto di interpretazione abbastanza libero e poco “vincolante”.
Quindi titoli come “Four Lands”, o “Grey Zone”, o “Iron and Ice” … offrono qualche “appiglio” per immaginare una “connessione” con qualcosa di specifico, ma si tratta di qualcosa di molto molto aleatorio.
Al contrario talvolta, e faccio l’esempio del mio vecchio CD “Travel Diary”, pensato e nato fin dall’origine quasi come un “diario di viaggio”, i titoli descrivono in modo più specifico ciò che vogliono evocare, o più semplicemente il “contesto” (concettuale o “fisico”) di cui fai fanno parte e per cui sono stati realizzati. E lì è normale, quasi “necessario” direi, che il brano che contiene registrazioni ambientali effettuate al tempio di Phra Yai si chiami “Late Afternoon at Wat Phra Yai”, o che i tre brani finali siano intitolati “Lanna Memories” (parti 1, 2 e 3) quando registrati con alcuni strumenti tradizionali del nord della Thailandia (ex regno Lanna) e contengono field recordings effettuate in loco, o che il brano realizzato con field recordings registrate in un mercato del pesce sia intitolato “The Market Place”. Talvolta insomma la musica nasce in modo e a “tema” un po’ “programmato”, e in tal caso è normale e anche “fisiologico” che vengano scelti dei titoli più descrittivi. Talvolta invece si fa musica senza un “disegno” premeditato, e un album in corso di lavorazione può prendere le direzioni più varie. In tal caso io stesso non amo “forzare” a posteriori, con titoli troppo descrittivi, un’idea precisa o un concetto ad un CD (o a un singolo brano) nato invece in modo molto “libero”.

BRUNO (DE ANGELIS): Sì, con Cai Cutu ci ha azzeccato: il prefisso Cai indica che era una famiglia umbra appartenente alle classi più basse, proprio come la mia insomma...
Sic Mundus in latino sarebbe "il mondo è così" ma mi piaceva anche l'assonanza con la parola inglese "sick" quindi un mondo malato.

DAVIDE: In “They Cast No Shadows” c'è però anche, forse per la prima volta da che mi ricordi tra i tuoi molti lavori che ho ascoltato, qualcosa di cantato, che per altro mi ha ricordato Robert Wyatt, ed è “Winds Become Words” ...

GIUSEPPE: Anche qui… le parti con le voci sono “opera” di Bruno… Ti confesso che non gli ho neanche mai chiesto l’origine di quelle voci… se fosse la sua, se si tratta di campioni, se alcune voci apparentemente “femminili” presenti sul CD siano una efficace rielaborazione della sua voce trasposta in alto ed abilmente effettata in “guisa” di coro… So poco, in dettaglio, in merito a “cosa” Bruno abbia usato per registrare questo CD. Di solito non chiedo troppo ad amici musicisti e collaboratori con cui lavoro “a distanza”, e non perché la cosa non mi interessi, quanto perché so che tanti preferiscono mantenere un po’ di “riservatezza” in merito alle proprie strumentazioni/tecnologie/metodologie di lavoro… e quindi per abitudine evito di fare domande che potrebbero mettere in imbarazzo o difficoltà chi non desideri “svelare” i propri “segreti”.

BRUNO (DE ANGELIS): Sì, è proprio la mia voce in falsetto su Winds Become Words ed ha ragione Davide, la mia ispirazione è stata proprio la voce di Robert Wyatt. Ho cercato di mischiarla tra gli strumenti perché non venisse troppo fuori. Quando invece si sentono delle voci femminili sono di solito brevi frammenti di cori semiprofessionali che cantano dal vivo, senza problemi di copyrights, forse loro stesse non si riconoscerebbero...

DAVIDE: Quali altri strumenti musicali, anche etnici, sono stati utilizzati, oltre quelli elettronici? Uno mi è parso il dàn cò, strumento ad arco vietnamita.

GIUSEPPE: Personalmente non ho usato quello strumento (che non posseggo) per il CD, seppure ho, e talora uso, un paio di suoi “parenti” stretti thailandesi, il Saw Duang e il Saw U.
In realtà in questo CD il mio “contributo” è stato per lo più con parti di chitarra elettrica (spesso suonata con E-Bow), sintetizzatori, basso e suoni percussivi.
Non ricordo neanche bene in dettaglio cosa ho usato nei singoli brani, e sicuramente qualche suono estratto dai miei strumenti etnici c’era, ma usati più come “complemento” che non come elementi “portanti” delle tracce.     

DAVIDE: Tra i crediti si leggono anche i nomi di Daniela Gherardi (Twist of Fate), Andrea Marutti (Amon / Never Known...) e Stefano Gentile. In che modo vi hanno contribuito?

GIUSEPPE: Daniela Gherardi, mia moglie, ha costantemente seguito e “supervisionato” qualsiasi cosa io abbia fatto durante la lavorazione del CD. Ad ogni step, brano per brano, e in particolare quando ho qualche dubbio, solitamente “coinvolgo” Daniela, che mi conosce molto bene, sa quello che voglio, e in modo obiettivo e molto “sensibile” può dirmi cosa “funziona”, cosa “funziona” meno bene, cosa potrebbe essere migliorato… Ovviamente tutti gli ascolti dei brani, ad ogni fase di lavorazione, dopo il mix definitivo, dopo il mastering, li facciamo insieme…  Per me, il suo “assenso”, è sostanzialmente una “garanzia di qualità”, diciamola pure così!
Andrea Marutti, mio carissimo amico da tanti anni, e metà del progetto collaborativo “Hall of Mirrors”, è per me un altro punto di riferimento assoluto…
Oltre ad essermi stato di costante aiuto negli anni per diversi aspetti tecnici, dandomi utili consigli, “dritte”, non solo per gli aspetti prettamente “audio” ma anche per cose di grafica, software, mastering DDP e quant’altro, Andrea è anche uno che ha molto da insegnarmi su tantissime cose, ed è uno di cui so di potermi fidare ciecamente. Appena ho il master di un nuovo CD pronto Andrea è il primo cui lo faccio ascoltare per una “supervisione” (dopo l’OK di Daniela), per sapere cosa ne pensa sia sotto l’aspetto “artistico” che sotto l’aspetto “tecnico”, essendo una persona della cui opinione so di potermi fidare. Ora… mi rendo conto che se facessi una emerita “schifezza” forse in virtù della nostra pluriennale amicizia non me lo direbbe proprio in questi termini… ma in linea di massima credo che riesca ad essere tanto competente quanto sostanzialmente “obiettivo”, e il suo “OK” ad un mio nuovo lavoro mi rassicura enormemente. Nel caso specifico di questo CD, oltre a tutto il “resto” di cui ho parlato, Andrea ha anche “concretamente” preparato il DDP per la stampa.
Stefano Gentile, come già detto, ha avuto l’idea per le grafiche e ci ha messo a disposizione le sue bellissime foto; ma il suo “ruolo” non si esaurisce certo qui, giacché da tanti anni offre grande spazio alla mia musica tra le sue produzioni, fin dai tempi dalla storica etichetta “Amplexus”. Un ringraziamento era quindi comunque “doveroso”, per il suo continuo supporto, e in particolare per aver consentito anche a “They Cast No Shadows” di vedere la luce in forma di CD, peraltro in una splendida ed elegante confezione ecopack a sei pannelli.
  
DAVIDE: Cosa seguirà?

GIUSEPPE: Per ora in realtà ancora nessun programma preciso.
È appena uscito il nuovo CD, a novembre c’è stato il mini album digitale, quindi sicuramente per un po’ ci fermiamo, ci riposiamo, prendiamo “fiato” e vediamo cosa succede.
Ovviamente non credo che l’esperienza di LHAM si esaurirà qui (sarebbe davvero un peccato), e quindi sono ragionevolmente ottimista che, compatibilmente con le varie “vicissitudini” di entrambi, prima o poi ci sarà un nuovo “capitolo”.

DAVIDE: grazie e à suivre...

 

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