[ Interviste / Interviews ]
Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH a cura di Davide Riccio.
Pubblicata su Kult Underground, Aprile 2022.
DAVIDE: Ciao Giuseppe e ben ritrovato su Kult Underground. “Significare”, ovvero etimologicamente “fare conoscere”: credo che ogni opera abbia un preciso significato in un dato momento della sua vita e del suo percorso artistico. Qual è dunque il significato, o quali i diversi significati per, di “Iron and Ice”, quali che hai così voluto far conoscere attraverso “Iron and Ice”?
GIUSEPPE: Voglio premettere che, per quanto riguarda specificatamente il mio progetto NIMH, questo “Iron and Ice” viene a distanza di ben sei anni dall’ultimo lavoro in solo di materiale inedito, il CD “Circles of the Vain Prayers” che fu pubblicato nel 2016 da Rage in Eden.
Nel frattempo ho pubblicato CD con altri progetti (Twist of Fate, LHAM, Hall of Mirrors, Maribor, We Promise to Betray), è uscita la ristampa su CD (Beyond the Crying Era) in versione ampliata e rimasterizzata di un mio vecchio vinile (This Crying Era), e nel 2020 un CD di NIMH frutto però di una collaborazione (Post-Folk Lore Vol. 1).
Preciso tutto questo perché per me questa circostanza ha di per sé già un “significato” molto particolare, che ha fortemente inciso sulla realizzazione del CD e di tutta la musica in esso contenuta.
In pratica dopo sei anni mi sono ritrovato per la prima volta a lavorare da solo, in assoluta autonomia e libertà di “movimento” ad un nuovo album del mio progetto musicale “principale”, se così vogliamo definirlo.
E in questi sei anni molte cose sono cambiate… Nuove idee, nuovi strumenti e nuove apparecchiature… nuove “avventure musicali” ed esperienze di cui ho potuto fare “tesoro”…
E “Iron and Ice”, titolo che in realtà di per sé non intende trasmettere un significato preciso, come album vuole invece rappresentare un ritorno al mio già ben “solido” progetto NIMH, conservando traccia di tutto ciò che negli anni precedenti ho già elaborato, ma arricchendolo di quanto, in questi sei anni, ho potuto “raccogliere” nella vita di ogni giorno in termini di ispirazione, esperienza, idee… e, ovviamente, strumentazione.
“Iron and Ice” esprime e descrive esattamente “questo” momento della mia carriera artistica, un momento in cui, dopo numerose “divagazioni”, ho voluto riprendere le redini del mio progetto NIMH e mettere a punto un album che, al tempo stesso, è un “punto di arrivo” e un possibile nuovo “punto di partenza”.
DAVIDE: Ghiaccio e ferro... La prima associazione che viene in mente tra queste due parole è di qualcosa di freddo che li accomuna, sebbene per forgiare il ferro ci voglia il fuoco. Perché dunque “Iron and ice”? Perché quell'ascia sepolta nel ghiaccio in copertina (che, per altro, in inglese si dice “Ace”, parola somigliante ad “Ice”)... ma anche due chiavi inglesi?
GIUSEPPE: Come accennato poco sopra, non c’è uno “studio” preciso sul significato del titolo e delle immagini utilizzate per le grafiche.
Per quanto riguarda questo aspetto infatti, ad album finito, mi sono affidato con fiducia a Stefano Gentile, che ha grande esperienza in questo senso, ottimo gusto, e che per le produzioni delle sue labels realizza sempre artwork di grande effetto ed impatto visivo.
Mi ha proposto un paio di possibilità, ed una era questo “set” di foto, che, semplicemente, mi ha colpito molto.
Nello stesso momento dovevo ancora definire un titolo per il CD, in quanto avevo rinunciato ad utilizzare quello pensato in origine “Post-Folk-Lore Vol. 2”.
L’album è infatti il seguito ideale del mio precedente CD “Post-Folk Lore Vol. 1” uscito nel 2020 come album collaborativo, ma per evitare qualsiasi confusione o “inconveniente” con il mio ex collaboratore e con la label che fece uscire il primo “capitolo”, avevo maturato la decisione di optare per un titolo alternativo.
Ed è stato quel bel set di foto propostomi da Stefano Gentile a suggerirmi l’idea…
Mi piaceva l’effetto di quella lama d’ascia e degli altri utensili da lavoro, anch’essi di metallo, inseriti in quell’inusuale contesto “ghiacciato”.
Ho pensato al ferro, al ghiaccio… e da lì è nata l’idea per il titolo del CD e del brano omonimo.
DAVIDE: Questo tuo lavoro mi è parso andare alla ricerca di un certo primitivismo e mi ha fatto ripensare a certe correnti culturali cosiddette appunto primitiviste e anarco-primitiviste, da Thoreau a Zerzan, i quali auspicavano un abbandono della modernità per un ritorno a uno stile di vita più primitivo, più vicino alla natura. Ma nel tuo caso penso più a una commistione che cerchi di trovare un punto di contatto e di equilibrio tra il progresso (rappresentato dall'uso dell'elettronica e di una certa musicalità) e il recupero di sonorità e modalità appunto più primitive, arcaiche, naturali.
GIUSEPPE: Sicuramente questo lavoro ricerca un connubio/equilibrio tra sonorità e atmosfere profondamente “terrene”, “concrete” e più o meno “arcaiche”, che possiamo considerare “rappresentate” dal suono dei molti strumenti etnici che ho utilizzato, e orizzonti molto più “moderni” che nel contesto specifico sono ovviamente rappresentati dai suoni derivanti da apparecchiature elettroniche.
Non si tratta di per sé di nulla di assolutamente “inedito” in questo senso, ma ciò che caratterizza il modo in cui io ho sviluppato questa idea di base è l’impiego significativo di alcuni strumenti etnici, per lo più provenienti dalla Thailandia e più in generale dal sud est asiatico, che non sono stati mai (o quasi, per quanto ne sappia) utilizzati in contesti analoghi.
Ovviamente c’è poi la mia personalissima “sensibilità”, il mio “stile”, le mie “attitudini”, a marcare ulteriormente la differenza tra questo mio lavoro e produzioni di altri artisti in contesto “ambient/ /rituale/elettronico”, se vogliamo dare non proprio una “definizione” ma almeno una vaga idea di cosa ci si possa aspettare da questo CD.
DAVIDE: Sappiamo bene che, nella musica strumentale, i titoli rimpiazzano in qualche modo le parole di un testo, indicando una suggestione che guidi l'ascolto e riveli qualcosa delle intenzioni dell'autore. Così mi sono ritrovato ad associare e seguire in modo del tutto personale il cerchio del Tempo Ciclico, a domandarmi di quale profezia di un “dottore a due teste” della magia Hoodoo, a vagare per Quattro Terre immaginarie nel mondo postapocalittico di Shannara, a camminare lungo il sentiero di Taron (e la pentola magica) che sogna di diventare un grande guerriero ed eroe, ritrovandomi invece nella terribile zona grigia dei “Sommersi e salvati” fino al ferro e ghiaccio di una qualche dimenticata avventura vichinga o post-industriale... E invece?
GIUSEPPE: Bella domanda! Ed è fantastico che le poche semplici parole che ho utilizzato per i titoli dei brani, unitamente alle suggestioni suscitate dall’ascolto dalla musica, possano averti evocato così tanti pensieri, associazioni di idee, scenari, immagini…
E questo significa che ho raggiunto il mio “scopo”.
Con i titoli infatti non volevo descrivere qualcosa di assolutamente “preciso” e inequivocabile, ma suggerire una vaga idea, uno spunto, da cui ognuno, attingendo alle proprie conoscenze, al proprio universo e al proprio immaginario, potesse poi elaborare una propria “interpretazione”…
Non mi “sottraggo” però al dovere di rivelare quali fossero, invece, le mie idee e gli “spunti” dai quali sono scaturiti i titoli dei brani…
“Following the Circle” è un subliminale riferimento al mio CD precedente “Circles of the Vain Prayers” che ho citato all’inizio. L’ultimo CD di NIMH in solo di materiale inedito, prima del presente “Iron and Ice”, con il quale è possibile trovare molti punti di contatto.
“Mojo’s Prophecy”. Qui avevo in mente sfocate immagini di rituali tipo voodoo, ma non volevo assolutamente farne esplicita menzione, anche perché in realtà nel brano non c’è nulla di direttamente riconducibile a quel tipo di situazione.
La cosa che dirò ora ti farà ridere… Pensando a questa cosa dei riti voodoo, non so come mi è venuto in mente un personaggio, una sorta di “stregone”, Mojo appunto, presente nell’indimenticabile saga di videogames di Monkey Island (del quale, peraltro proprio in questi giorni si vocifera di un attesissimo nuovo “capitolo” in realizzazione). E’ stata una curiosa sequenza di associazioni di idee a farmi pensare a questo personaggio, e a farmi scegliere “Mojo’s Prophecy” come titolo del brano.
“Four Lands” è un brano che, anche come struttura compositiva, può essere “letto” come une serie di quattro “paesaggi sonori” che, in sequenza, descrivono e “dipingono” atmosfere e “scorci” sul mondo provenienti da territori e paesi molto diversi tra loro. Ho anche realizzato un video per il brano, seguendo questa idea di base. Da qui l’idea del titolo “Four Lands”.
“Tharon Trail” non è in effetti un riferimento al “Taron” che citi nella tua domanda…
Ma avevo in mente l’idea di un sentiero, di un percorso… “fisico”, e “rituale/spirituale” al tempo stesso. Volevo qualcosa da anteporre al “Trail”, che però non fosse anche qui un riferimento preciso. Non so come mi è venuto in mente “Tharon”… mi piaceva la parola… suonava bene, era in qualche modo “evocativa”. Non mi occorreva altro. Ed è stato “Tharon Trail”.
“Grey Zone”. Si tratta di un brano che miscela sonorità particolarmente “strane” e apparentemente poco “attigue” tra loro… Una “nebulosa” musicale di difficile identificazione… una zona “grigia” in un certo senso (così l’ho pensata), all’interno della quale è difficile percepire contorni, confini, dettagli, riferimenti univoci.
“Iron and Ice” è anche questo un brano di difficile “interpretazione” a livello di “immagini”. Ricco di suoni, voci, atmosfere variegate e continuamente cangianti. E’ un brano cui tengo molto, particolarmente “importante” nel contesto generale del CD, e forse, fondamentalmente per questo, ho voluto associargli come titolo lo stesso che già avevo scelto per il CD.
DAVIDE: Quali strumenti musicali hai usato in questo lavoro?
GIUSEPPE: Molti strumenti etnici per lo più di origine thailandese, probabilmente abbastanza sconosciuti ai più, il cui nome anche in rete non sempre ricorre “tradotto” allo stesso modo.
Tra essi lo Tzeebu (una sorta di banjo a tre corde senza tasti, con piccola cassa armonica di forma circolare ricoperta di pelle di serpente), il Sueng (una “chitarra” a due corde doppie, con tasti molto alti), il Salor (una sorta di violino a due corde con cassa armonica realizzata con guscio di noce di cocco), il Khlui (un flauto), il Thon Chatri e il Rammana (due percussioni), un Mong (piccolo gong).
Poi ancora una Sanza di provenienza indonesiana, un’ocarina acquistata in Thailandia di cui però non conosco la reale origine, un piccolo Gusli russo (una sorta di arpa), due Xun (piccolo strumento a fiato cinese in ceramica di forma ovoidale), un piccolo Oud di origine mediorientale (che mi fu regalato, probabilmente “pensato” a scopo unicamente decorativo e “turistico”, che però ho ugualmente utilizzato in un brano), dei sonagli (in dettaglio un “violino dei poveri” del meridione italiano che mi fu regalato dal mio caro amico/musicista Claudio Ricciardi), una specie di “tromba” in bamboo e una sorta di piccolo Berimbau, entrambi autocostruiti molti anni fa…
Poi oggetti di metallo, legnetti… bacinelle in PVC usate come percussioni, e persino una brocca per acqua in ceramica (!) usata a mo’ di Ghatam per la parte percussiva del primo brano del CD.
Quanto a strumentazione più “consueta” ovviamente chitarra elettrica con effetti, sintetizzatori (fisici e “virtuali”), la mia voce, e ovviamente il mio PC che “ospita” il software di base sul quale lavoro per registrare, editare, mixare e per il mastering.
C’è poi un piccolo inserto di mie vecchie registrazioni ambientali, e un unico “episodio” di cori campionati da fonti “esterne” (una vecchia registrazione fatta in TV “pesantemente” trattata e rielaborata). E’ possibile che mi sia dimenticato qualcosa… ma il più è questo.
DAVIDE: Nei cori della traccia conclusiva ho colto echi di un lavoro di Holger Czukay e Rolf Dahmer, “Canaxis”. Quali sono stati gli echi di e le connessioni musicali ad altri artisti che ti sei ritrovato a pensare o a ricordare affini mentre lavoravi su “Iron and Ice”?
GIUSEPPE: E’ proprio in questo brano che ho utilizzato quei cori campionati di cui parlavo un attimo fa.
In merito alla domanda specifica, debbo dire che seppure moltissimi artisti hanno influenzato da decenni il mio percorso musicale, fornendomi gli “input” e l’ispirazione per arrivare al risultato che ho ottenuto (e qui posso citare in ordine molto sparso Steve Roach, David Parsons, Laszlo Hortobagyi, Rüdiger Lorenz, Stephan Micus, Forrest Fang, i Tuu, Amir Baghiri, Robert Rich, Jorge Reyes, Mathias Grassow…), in realtà, a parte la “commistione” tra suoni di strumenti etnici ed elettronici, non c’è molto che possa “accumunarmi” in modo più diretto e specifico ad alcuno di questi artisti e ai loro lavori.
Posso dire che questi artisti, e tanti altri che non ho citato, mi hanno in qualche modo, tanti anni fa, “aperto la via”, che poi ho però percorso in modo molto personale e senza seguire “modelli” predefiniti.
DAVIDE: C'è stato un tuo particolare metodo nella composizione e lavorazione di “Iron and Ice”?
GIUSEPPE: La lavorazione di questo CD è stata piuttosto “travagliata” a dire il vero…
L’album era stato inizialmente concepito come album collaborativo, come “seguito” del precedente CD “Post-Folk Lore Vol. 1”.
Nella prima fase avevo fatto molte registrazioni di strumenti etnici e parti elettroniche, mettendo a punto delle macrostrutture, praticamente dei mix di brani già ampiamente elaborati, ma lasciati intenzionalmente un po’ “scarni” e incompiuti per lasciare spazio al collaboratore.
Questi aveva ulteriormente elaborato i brani, aggiungendo qualcosa di suo, cambiando degli elementi, e inviandomi poi il risultato.
A questo punto avevo ancora arricchito e rifinito i brani, portandoli a compimento e occupandomi anche del passo “decisivo” del mastering.
L’album era pronto, con grande soddisfazione di entrambi, e della label che aveva incoraggiato questa collaborazione e che, dopo parecchi ascolti e valutazioni, aveva approvato con entusiasmo il risultato, chiedendoci infine soltanto di ritoccare l’equalizzazione di un brano, dove il suono di una specie di oboe appariva un po’ troppo “aspro”. Un dettaglio trascurabile, correggibile (e corretto) nel giro di mezz’ora.
Poi… l’imprevedibile… Nei giorni seguenti una serie di continui ripensamenti e richieste da parte della label, che comunque, trovandoci ormai alla fase conclusiva, per opportunità ho sempre accolto e assecondato.
Quindi alcune settimane di silenzio… Infine, dopo mia richiesta di informazioni in merito, la label mi comunica seccamente di aver deciso di cancellare la pubblicazione e di non voler fornire spiegazioni, e subito a seguire il mio (ex) “socio”, che so collaborare frequentemente con la label, prende la decisione “unilaterale” (forse per ragioni di opportunità/opportunismo) di non voler più pubblicare il lavoro, neanche proponendolo ad altre labels alternative.
Un comportamento inqualificabile, e una situazione che, dopo venti anni abbondanti di personali esperienze con tanti altri artisti e labels italiane e straniere, non avrei mai potuto neanche lontanamente immaginare.
Praticamente un anno di lavoro “perso”… o almeno così mi è sembrato all’inizio.
Passato un po’ di tempo per “smaltire” il colpo, mi sono rimboccato le maniche e ho deciso di mettermi nuovamente al lavoro.
Ho recuperato tutto il materiale, ho eliminato accuratamente ogni traccia e ogni singolo suono di quanto era stato aggiunto dal mio ex collaboratore, e ripartendo dai miei mix originali ho “rilavorato” di nuovo l’album, conservandone ampie parti, aggiungendone di nuove, togliendo qualcosa, modificando alcune strutture, e ottenendo infine il risultato (di cui sono estremamente soddisfatto) che hai potuto ascoltare su “Iron and Ice”.
A posteriori posso dire che non mi dispiace troppo che le cose siano andate così.
Dalle ceneri della prima “stesura” infatti è nato un nuovo album, solo a mio nome, molto più personale e “caratterizzato”, e privo di qualsiasi “condizionamento” esterno, che segna un capitolo molto importante e significativo del mio progetto NIMH.
DAVIDE: So che stai lavorando a un secondo capitolo Lham con Bruno De Angelis, anzi già pronto, ma anche sul mastering di vecchio materiale di Andrea Marutti; e che l'etichetta polacca Zoharum ha intenzione di pubblicare nel 2023 un tuo doppio cd di vecchio materiale inedito. Ci parli di questi tuoi prossimi lavori?
GIUSEPPE: Allora… Per quanto riguarda il secondo CD di LHAM, posso confermarti che l’album è effettivamente pronto, e c’è già una label che, pur non avendo ancora preso un impegno preciso, si è dichiarata interessata a pubblicarlo, ma probabilmente non prima dell’anno prossimo.
Confermo anche che la label polacca Zoharum pubblicherà a breve (notizia di oggi che salvo imprevisti la release è stata anticipata a giugno prossimo) un doppio CD di materiale sperimentale d’archivio di NIMH registrato nel corso degli anni ’90.
Si tratta di brani di matrice puramente drone/elettronica registrati tutti in presa diretta, quindi senza nessun lavoro di mix, editing o quant’altro fatto a posteriori, salvo ovviamente l’indispensabile mastering.
Tra le prossime novità posso anche aggiungere che in tempi non troppo lunghi uscirà una compilation in CD della “Sound Mapping Series” per la label “Unexplained Sounds Group” di Raffaele Pezzella. Un bellissimo progetto tutto italiano che conterrà un mio brano inedito di NIMH.
Quanto al mio amico (e “socio” nel progetto collaborativo Hall of Mirrors) Andrea Marutti, ho in effetti appena finito di lavorare al master di un triplo CD del suo vecchio progetto “Lips Vago”, che (seppure in data, etichetta e veste grafica ancora tutte de definire) verrà sicuramente pubblicato dallo stesso Andrea.
DAVIDE: Qual è la domanda ancora senza risposta che più ricorre nella tua mente in questo momento della tua vita?
GIUSEPPE: Voglio essere davvero sincero…
Potrei stare qui a spremermi le meningi qualche minuto e trovare una bella risposta “ad effetto” che mi faccia fare bella figura nell’intervista, argomentando su quesiti filosofici, metafisici, magari attingendo a citazioni colte e di “strategicamente” esibito “profilo intellettuale”.
Invece debbo confessarti di essere una persona molto concreta e pragmatica.
Il tempo vola, gli anni passano in fretta, problemi e imprevisti sono sempre dietro l’angolo, ho tante cose da dover necessariamente fare nelle mie giornate (di cui farei volentieri a meno) e tante idee e progetti che invece ancora desidero portare avanti, e quindi sinceramente non sono uso a “perdere tempo” nel pormi domande (e men che mai domande di matrice spiccatamente concettuale o filosofica) alle quali mi rendo conto subito di non poter dare risposta. Se è così… le metto da parte, volto pagina, e semplicemente passo oltre.
Il mio obiettivo quotidiano, ormai da anni, è fondamentalmente quello di impiegare al meglio il mio tempo, per portare a compimento i miei desideri, realizzare idee e progetti (non solo musicali ovviamente) e rendere il più possibile “piacevole” e gratificante il passare delle giornate della mia (unica) vita, ora dopo ora, istante dopo istante.
Non mi sforzerò quindi di rispondere in modo troppo “impegnativo” al tuo quesito, ma in questo momento, e alla luce di quanto ho appena detto, potrei (un po’ scherzosamente!) risponderti che la domanda è questa:
“Perché le persone continuano a porsi domande alle quali non possono ottenere risposta?”
Grazie di cuore per il tempo che mi hai dedicato anche questa volta Davide, e per ospitarmi da anni, con costanza, interesse e anche “pazienza” direi, all’interno dei tuoi sicuramente non “ortodossi” spazi di intervista!
DAVIDE: Grazie e suivre...
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