[ Interviste / Interviews ]
Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH a cura di Davide Riccio.
Pubblicata su Kult Underground, Aprile 2019.
DAVIDE: Ciao Giuseppe. Nuova e ultima tua pubblicazione, in realtà si tratta di una raccolta di brani apparsi in precedenti releases che vanno dal 2002 al 2012, più una unreleased track. Perché dunque questa compilation antologica, per altro già uscita in passato su vinile?
GIUSEPPE: Per diverse ragioni…
La prima è che il vinile all’epoca uscì in una tiratura limitatissima di 100 copie, elemento che fin dall’inizio ne ha impedito una diffusione un po’ più ampia.
La seconda è che a causa del limite “fisico” della quantità di musica archiviabile su vinile, fui costretto ad una selezione molto drastica dei brani da inserire, e quindi alcuni, che avevano una logica attinenza con il progetto e che avrei voluto includere, furono necessariamente esclusi.
La terza ragione, per me personalmente ancora più importante delle precedenti, è che in realtà non amo affatto il supporto vinile, tanto è che quando all’epoca accettai l’invito di Matéo Montero (il titolare della label per cui uscì originariamente l’album) a pubblicare l’LP, avevo già in mente l’idea, in un futuro non proprio immediato, di realizzarne anche un’edizione su CD.
Il vinile “This Crying Era” infatti l’ho sempre considerato più un “puro oggetto per collezionisti” che non un “vero” album integrato nella mia discografia.
Non essendo più giovanissimo, ed essendo sempre stato amante non solo della buona musica, ma anche del buon suono e quindi dell’alta fedeltà, prima dell’invenzione del CD ho a lungo “sofferto” la qualità “primitiva” e scadente della musica incisa su vinile… Scricchiolìi… crepitìi… talvolta “salti”… e quell’apparentemente impercettibile rumore di fondo “cupo” dovuto agli attriti della puntina nel solco che qualcuno tuttora interpreta come “suono caldo” del vinile…
Questa aggiunta arbitraria, fastidiosa, e “randomica” di suoni estranei che il vinile (quando un po’ più, quando un po’ meno…) aggiunge al contenuto sonoro di un album mi ha sempre enormemente infastidito (ricordo che quando comprai su vinile “Apollo” di Brian Eno, si udivano più gli scricchiolii che non il segnale musicale), e quindi da quando acquistai il primo lettore CD nel lontano 1990 non ho mai più voluto acquistare un vinile.
Per “This Crying Era”, così come d’obbligo per qualsiasi cosa debba essere stampata su vinile, fui anche costretto a far modificare il master (alterando in piccola misura il suono originale) per i riadattamenti tecnici necessari a renderlo riproducibile dal “sistema giradischi” (taglio frequenze sotto i 20 Hertz, messa in mono di quelle sotto i 200 Hertz, controllo ed eventuale taglio di frequenze a volume alto sopra i l5 kHz e quant’altro…).
Aggiungo ancora che pur possedendo un buon giradischi (Thorens TD316, con braccio Mission LC744 e testina Stanton 681EEE Mk2S) mi rendo conto di quanto sia enorme la differenza di qualità tra il medesimo album ascoltato su supporto CD e su vinile (a favore del CD ovviamente), e di quanto oltretutto un economico lettore CD da poche centinaia di Euro possa fare molto meglio di un sistema giradischi-braccio-testina che superi i mille o magari anche duemila euro.
Tutto questo spiega perché il vinile non “gode” della mia simpatia, e perché io lo ritenga adatto solo per la riproduzione di vecchia musica che non sia stata mai ripubblicata su CD, o come oggetto per puro collezionismo.
DAVIDE: Concordo e anch'io sono decisamente più favorevole al CD. Hai modificato qualcosa di queste tracce?
GIUSEPPE: Ovviamente, anche per riadattare l’ascolto alla nuova “scaletta” e ai nuovi brani aggiunti, ho rifatto un master molto accurato ripartendo dal “mix” originale di ogni singolo brano.
Un brano che nel vinile era stato tagliato in coda con una sfumatura (per ragioni di spazio) è stato questa volta inserito in versione integrale, così come un altro che era stato anch’esso tagliato (qui non per ragioni tecniche, ma per escludere una breve “citazione etnica” poco “compatibile” con l’impronta più prettamente elettronica dell’etichetta).
Ho fatto anche altri interventi migliorativi sparsi (che ora non ricordo con esattezza) sui brani già presenti sul vecchio vinile.
Poi ci sono i nuovi brani non inclusi originariamente, alcuni leggermente ritoccati… un inedito… quindi nella sostanza il CD ha molte differenze rispetto al vinile del 2012, e per questo è stato pubblicato con titolo diverso (ma con un preciso richiamo all’originale) e con nuove grafiche.
DAVIDE: Cos'è la "Crying Era"? Cosa il suo oltre? È così che definiresti l'attuale epoca o era in cui stiamo vivendo?
GIUSEPPE: Senza essermi neanche io soffermato troppo sul senso “esatto” che volevo dare al titolo, posso dire molto genericamente che fa riferimento all’attuale periodo storico, che trovo piuttosto “triste”, “nero”, e (purtroppo) ragionevolmente privo di buone speranze… sbocchi… di prospettive di “futuri luminosi”…
Non nascondo che l’idea nacque anche come “citazione occulta” di un bellissimo vecchio CD dei Morthond, uscito nel 1991 per la mitica Cold Meat Industry, che in realtà titolava “This Crying Age”.
Quanto al “Beyond” è in realtà più un “espediente spicciolo” e “strategico”, un riferimento a ciò che è stato aggiunto in questo CD rispetto alla sua versione originale su vinile, parlando ovviamente del “mero” contenuto musicale.
DAVIDE: La tua musica viene spesso descritta come dark ambient. Matisse affermò che il colore nero riassume e consuma tutti gli altri. Che colore ha per te la tua musica e in che modo lavori sul colore sonoro e musicale, sui dinamismi di luce e ombra?
GIUSEPPE: Sicuramente ampia parte della mia musica, ancor più quella pubblicata come “Nimh” e quindi anche quella del presente CD, rivela sonorità, atmosfere e costruzioni attigue al (molto vasto ed eterogeneo in realtà…) genere dark ambient.
Sicuramente questo album in particolare, come anche ad esempio i precedenti “Black Silences”, o “From Unhealty Places” (in collaborazione con il carissimo Pierpaolo Zoppo / Mauthausen Orchestra, ormai scomparso), o anche “Reflections on Black”, uscito come Hall of Mirrors insieme ad Andrea Marutti / Amon, sono lavori che trovano nel nero il loro colore, per così dire, “ideale”…
In realtà però la mia musica, intesa in senso più generale, non manca di esplorare universi più luminosi e “colorati”, e penso ad esempio ai CD usciti come Twist of Fate insieme a mia moglie Daniela Gherardi, al recente CD “Nothing is as It Seems” uscito come “We Promise to Betray” insieme a Davide Del Col /Antikatechon..,
Non sono in realtà un “fan accanito” di atmosfere necessariamente “nere” e catacombali, seppure nei miei album di “nero” se ne può scovare molto.
Luci e ombre, nero, tonalità di grigio e colori, si alternano naturalmente nella mia musica a seconda dei momenti, delle esigenze, dei diversi progetti, delle variegate e continuamente cangianti influenze musicali dalle quali vado di volta in volta ad “attingere”.
Non esiste un “ordine”, un “piano programmato”… un “disegno” preciso…
DAVIDE: «Credo che l'uso del rumore per fare musica continuerà e aumenterà fino a quando non si giungerà ad una musica prodotta attraverso l'ausilio di strumenti elettrici che si metteranno a disposizione per qualsiasi finalità musicale e per tutti i suoni che potranno essere ascoltati». Lo scrisse John Cage nel 1937 in “The Future of Music”. Ed ebbe ragione. Quando un suono e un insieme di più suoni e di altezze del suono apparentemente in libertà raggiungono per te i più soddisfacenti o interessanti gradi di forma e di relazione tra loro?
GIUSEPPE: Credo che si sia già giunti a quel punto (anche “tecnologico” oltre che storico, previsto da Cage…) in cui l’uso del rumore per fare musica ha raggiunto il suo apice, e quindi ha anche smesso di crescere.
Ogni periodo storico ha avuto le sue “rivoluzioni” musicali…
Il rumore, e il predominante uso di esso, ha ormai già fatto il suo corso, e da ruolo di “soggetto” che per lungo tempo ha avuto nella sperimentazione musicale, non potrà che essere progressivamente ridimensionato, rimanendo in forma di utile ma non prevalente “elemento” insieme a tutto ciò che la storia e l’evoluzione della musica sperimentale e d’avanguardia hanno portato e porteranno con sé in futuro.
Quanto alla domanda specifica, credo di poter dire, per quanto mi riguarda, che suoni e insiemi di essi raggiungono i più soddisfacenti e interessanti gradi di forma e relazione tra loro quando sono in grado di trasmettere immediate e “istintive” emozioni, “spogliati” quindi di tutte quelle implicazioni puramente concettuali/intellettuali aggiunte (molto di moda) che negli ultimi decenni stanno in realtà danneggiando (talvolta ridicolizzando) anche la più onesta, genuina, sentita e sincera ricerca musicale, più o meno sperimentale che sia.
DAVIDE: Cos'è il tempo musicale o il non-tempo nei lavori di "Beyond the Crying Era", i quali avanzano con tempi molto lenti, larghissimi o appunto dei non-tempi?
GIUSEPPE: Potrei ricordare male, ma in “Beyond the Crying Era” mi sembra che non ci siano brani fondati su tempi metronomici, e anche dove è presente una parte ritmica programmata (almeno un paio di brani) essa non funge comunque da “struttura” per altri strati di strumenti posti su essa “a incastro” in modo strutturato, ma solo da “fondo” e da linea guida d’atmosfera…
Quando compongo musica di questo genere semplicemente non penso al tempo o al non-tempo… Al massimo cerco di porre attenzione a non dilungarmi ove non sia necessario, per evitare di risultare noioso o ridondante… ma parlando di “tempo” questo è davvero il minimo cui si debba fare attenzione componendo musica.
DAVIDE: Come il caso o l'alea, nel senso che vi diede lo studioso di acustica Werner Meyer-Eppler da cui tutta la musica cosiddetta aleatoria, si incontra con le tue intenzionali linee generali di approccio, ricerca e finitura?
GIUSEPPE: La casualità è elemento sempre presente e integrante nei miei personalissimi processi compositivi.
Ma non mi affido troppo ad essa... se non per definire delle eventuali “bozze” in una fase iniziale di progettazione e sviluppo, e per mantenere delle “sfumature” e delle sottili variazioni in fase di “chiusura” di un brano o di un lavoro più articolato.
Nella musica (che registro e ascolto) non mi interessa “quanto” sia frutto di casualità e quanto no, e quanto la “casualità” sia in realtà prevista e “programmata” (nel qual caso si tratta di una casualità “indotta” e quindi “impropria”) e quanto invece effettivamente “imprevista” ma accettata.
Non mi piace pensare o “ragionare” troppo in tema di musica…
Mi piace più semplicemente suonare e produrre musica, cercando di farlo al meglio, nell’auspicio che possa piacere ed emozionare anche gli altri, così come mi emoziono io ascoltando la musica di tanti artisti che apprezzo e stimo.
DAVIDE: A parte questa riedizione di "Beyond the Crying Era", stai lavorando a qualcosa di nuovo?
GIUSEPPE: Oltre a varie idee e progetti in attesa di essere sviluppati (in solo e collaborativi) al momento sto realizzando un nuovo album.
Sono a circa 20 minuti di musica sostanzialmente già compiuta e “pronta” (a parte i finali ritocchi del mastering che verranno) ma c’è ancora un bel po’ da fare…
Ho una serie di spunti e bozze preregistrate, ma debbo ancora decidere esattamente quali includere, e poi elaborarle a dovere.
Concedimi solo due righe in più, per ringraziare, oltre te per il consueto interesse, anche mia moglie Daniela, che da decenni mi supporta/sopporta nella vita quotidiana e nelle mie “avventure musicali”, e Mark O'Shea di Winter Light, che ha accettato con entusiasmo di pubblicare “Beyond the Crying Era” per la sua etichetta lavorando sulla pubblicazione e sulla promozione del CD con un impegno ed una professionalità che è davvero difficile riscontrare altrove.
DAVIDE: Grazie e à suivre...
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