[ Interviste / Interviews ]

 

Intervista a GIUSEPPE VERTICCHIO/NIMH a cura di Massimo Pavan.
Pubblicata su 21ST CENTURY MUSIC N. 8, settembre 2003.

 

MASSIMO: E' per me un onore poterti rivolgere alcune domande a proposito della tua attività musicale. E per me costituisce un motivo d'orgoglio speciale poter intervistare un autore Italiano.
Sono convinto che nel nostro sottovalutato Paese vi siano dei tesori musicali di inestimabile bellezza, i quali non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni straniere. Devono solo essere scoperti e fatti conoscere al pubblico. Giuseppe Verticchio, in Arte: Nimh è uno di questi.
Giuseppe, che ne dici di raccontarci qualcosa a proposito delle tue origini musicali e biografiche?

GIUSEPPE: Ti ringrazio prima di tutto per le belle parole introduttive.
Sono nato a Roma, nel 1965, e fin da bambino la musica è sempre stato un elemento di grande importanza nella mia vita.
Ho sempre amato circondarmi di qualsiasi oggetto fosse in grado di emettere suoni, strumenti giocattolo quando ero bambino, e strumenti musicali "veri" a mano a mano che crescevo, e registrarne i suoni cominciando con uno dei primi modelli di registratore a cassette Philips che avevo avuto in regalo dai miei genitori e che per lungo tempo fu il mio inseparabile compagno, anche per ascoltare la musica.
Nonostante questo non ho mai seguito studi specifici, e in famiglia in realtà nessuno suonava strumenti musicali, o era particolarmente sensibile a questo tipo di argomento.
Già quando avevo soltanto 10/12 anni, grazie all'influenza di alcuni vicini di casa più grandi di me, ascoltavo prevalentemente musica Pop e progressive molto in voga in quel periodo, Jethro Tull, Emerson Lake and Palmer, Genesis, King Crimson, Van Der Graaf Generator, Rick Wakeman, Mike Oldfield, Banco del Mutuo Soccorso, Trip...
Amavo molto anche Dylan, del quale possedevo tre libri con le traduzioni di tutti i testi delle sue canzoni fino a "Slow Train Coming", e sempre in quel periodo imparai a suonare la chitarra e l'armonica a bocca.
Negli anni '80 rimasi catturato dal primo Pop elettronico, e per molto tempo ho seguito gruppi come Depeche Mode, Ultravox, Heaven 17, Orchestral Manouvres in the Dark, Camouflage, Wire, Erasure, Talk Talk, Bronsky Beat, Communards.
Nello tesso periodo apprezzavo in modo particolare anche altri gruppi meno "elettronici", quali Roxy Music, Simple Minds, Cure, Adventures, Fiction Factory, Lloyd Cole & the
Commotions.
Nel 1986 ho fatto il primo viaggio in Thailandia, venendo a contatto con un paese e con una realtà che in seguito avrebbe influito molto sia sulla mia vita personale che sui miei interessi musicali.

MASSIMO: il tuo background musicale è abbastanza "normale", frequentazioni musicali molto comuni
fra i giovani degli anni 80. Quando è come è avvenuto l'incontro successivo con i grandi pionieri della Berlin School? E che effetto ti fece tale musica? Vorrei conoscere l'impatto emotivo che essa ha avuto su di te. Quali "Porte" ha dischiuso in te?

GIUSEPPE: E' stato nella seconda metà degli anni '80 che il mio interesse verso quella musica elettronica più "popolare" e "di consumo" di cui mi ero nutrito per diversi anni ha cominciato a mutare direzione, orientandosi verso forme di elettronica di tipo ben diverso. Ruolo assolutamente essenziale in questa fase di crescita è stato l'aver conosciuto la musica di Klaus Schulze. Il primo lavoro di Schulze che ascoltai fu "Timewind", e ne ricordo perfettamente le circostanze. Durante un incontro con degli allievi di un corso di studio che stavo frequentando, il docente, un ragazzo che aveva in realtà pochi anni più di noi, sentendomi dire che amavo la musica "elettronica" (ma allora per "elettronica intendevo fondamentalmente Pop-Elettronico...) mi fece ascoltare appunto "Timewind". Ad essere sincero non mi colpì particolarmente, ma questo ragazzo, che possedeva anche una cassetta audio del medesimo LP, decise molto gentilmente di regalarmela. La presi con scarsa convinzione, e infatti rimase per parecchio tempo inascoltata sulla scrivania della mia camera, fino a che un giorno, mentre studiavo, decisi di provare a metterla di sottofondo. Per tutta la durata dell'ascolto la musica non ebbe su di me nessun effetto, passando assolutamente inosservata, ma al momento in cui terminò sentii al l'improvviso una sensazione di vuoto assoluto, inquietante ed indescrivibile... Fu un'emozione strana, e colsi all'improvviso, e solo nel momento in cui la musica era venuta a mancare, il valore enorme di quello "strano sottofondo musicale" che fino a pochi istanti prima aveva riempito la mia stanza... Fu davvero una folgorazione... E' stato come aprire per la prima volta una porta oltrepassando la quale avrei intrapreso un cammino che ha letteralmente sconvolto la mia esistenza, influendo sostanzialmente in tutte le mie scelte di vita successive... amicizie, attività varie, hobbies...
Tornando alla musica elettronica tedesca, ovviamente Schulze fu soltanto il punto di partenza attraverso il quale arrivai a conoscere e ad apprezzare molti altri artisti e formazioni, Tangerine Dream e Kraftwerk in primo luogo, ma debbo dire in tutta onestà che soltanto Schulze (del quale acquistai in breve tempo tutti i vecchi LP e in seguito i CD) è rimasto per molti anni un punto fermo nei miei ascolti quotidiani di musica.

MASSIMO: E poi l'incontro con l'Ambient Music.... anche in questo caso quali sono state le tue emozioni/impressioni a tale proposito? E quali sono stati i tuoi Artisti di riferimento?

GIUSEPPE: Dopo aver scoperto "Timewind", come ho già detto in breve tempo i miei scaffali si arricchirono di vinili dei Kraftwerk, di Schulze, dei Tangerine Dream...
Da lì è poi maturato progressivamente e in modo abbastanza "fisiologico" un interesse, che non si è più interrotto, non solo verso l'universo elettronico più "profondo", ma in senso più generale verso forme di musica meno convenzionali e più sperimentali.
E se è stato grazie a "Timewind" di Schulze che ho visto aprirsi la "prima porta" verso un certo tipo di musica elettronica, sicuramente Brian Eno è l'artista che più di ogni altro ha contribuito a farmi avvicinare alla musica ambient.
Ricordo che quando ascoltai per la prima volta "Apollo" su vinile, il primo LP di Brian Eno che acquistai, gli scricchiolii continui del disco, seppure appena estratto dalla copertina sigillata con il cellophane, sovrastavano decisamente i suoni spesso tenui e discreti della musica in esso contenuta. I CD ancora non esistevano, o forse ancora non era cominciata la loro grande diffusione, ed era un vero strazio dover sentire un'opera del genere "violentata" da questi incessanti quanto indesiderati disturbi... Quando anni dopo comprai il mio primo lettore CD, Apollo fu uno dei primi LP che riacquistai immediatamente su supporto digitale...
In quel periodo e negli anni che seguirono approfondii la conoscenza di un universo sconfinato di artisti, che hanno influenzato notevolmente la mia vita all'epoca, e che tuttora posso considerare dei punti di riferimento assoluti, sia in fatto di ascolti, sia per le inflluenze che in qualche modo hanno avuto e continuano ad avere nella musica che compongo.
Certo di dimenticarne qualcuno, cito in ordine sparso Steve Roach, Robert Rich, Michael Stearns, John Mark, Nik Tyndall, Software, Jorge Reyes, Vidna Obmana, David Parsons, Mathias Grassow, Coyote Oldman, Rapoon, Dik Darnell, Rudiger Lorenz, Laszlo Hortobagyi, Amir Baghiri, Alan Lamb, Deep Listening Band, Stephen Scott, Jens Zygar, Jliat, Klaus Wiese, Francisco Lopez, Caul, Lustmord, Lull, Thomas Koner, David Hudson, Forrest Fang, Stephan Micus, Jeff Greinke, Lightwave, Morthond, ma anche gli italiani Alio Die, Amon, Raffaele Serra, Matteo Silva...

MASSIMO: Cosa ti è rimasto di tutta questa musica, e quali sono i più importanti? Quali hanno lasciato un segno indelebile nella tua musica?

GIUSEPPE: Ognuno di questi artisti ha lasciato in qualche modo un segno indelebile nella mia vita...
Alcuni nel tempo li ho persi di vista, altri hanno cessato di fare musica o si sono orientati verso generi musicali diversi, ma sicuramente ognuno di essi è stato particolarmente importante in un certo periodo della mia vita, e in qualche modo ha influenzato e continua a influenzare il mio modo di concepire la musica, sia quella che ascolto, sia quella che realizzo come autore quando sono dietro agli strumenti.
Debbo inoltre aggiungere, come fondamentale fonte di ispirazione e di influenza, l'ascolto di tanta musica etnica, che apprezzo enormemente, e nella quale riscontro spesso le radici di tanta musica ambient, elettronica e sperimentale dei giorni nostri, nonostante l'apparente distanza che separa questi due universi musicali.

MASSIMO: Quanto peso ha avuto l'influenza delle esperienze di vita in Thailandia? Delle sue musiche, della sua gente di strada, della religione e della filosofia così diversa dalla nostra?

GIUSEPPE: La Thailandia è un paese al quale sono molto legato. Il mio primo viaggio da quelle parti risale al 1986, e tuttora è una delle mie mete preferite quando ho la possibilità di viaggiare.
Nel 1996 ho vissuto per quasi un anno intero sull'isola di Samui, un periodo splendido durante il quale mi portai dietro il computer, il sintetizzatore, e qualche centinaio di CD che mi hanno tenuto felicemente compagnia in un periodo della mia vita assolutamente indimenticabile.
In quel periodo si rafforzò ulteriormente il mio interesse verso la cultura e le tradizioni di questo paese, ivi inclusa la sua musica etnica, tradizionale e classica, e i relativi strumenti di origine locale adoperati per questi generi musicali, tant'è che in alcuni viaggi successivi ne approfittai per acquistare e riportare in Italia molti strumenti etnici e tradizionali che ho utilizzato in seguito nella realizzazione di alcuni miei lavori.
Credo che i contatti con popoli molto diversi da noi, abitudini di vita che non riusciamo neanche ad immaginare, ambienti e situazioni che sono davvero molto lontane dal nostro vivere ordinario, dai nostri gesti abituali, dai contesti sociali in cui viviamo ogni giorno, siano una grandissima fonte di conoscenza, e quindi di crescita individuale. Questa conoscenza ci consente di valutare e considerare con maggiore distacco ed obiettività, direi con maggiore lucidità, anche il nostro stile di vita, le nostre abitudini, le nostre realtà quotidiane, i nostri dogmi, le nostre (a volte assolutamente inesatte) certezze e convinzioni ... E questo ovviamente sia in senso positivo che negativo, avendo l'opportunità ad esempio di scoprire quanto poco significato possano realmente avere alcuni elementi della vita cui noi occidentali tendiamo a dare spesso un' importanza decisamente esagerata, e quanto magari sia invece opportuno rivalutare altri valori positivi che noi diamo assolutamente per scontati, ma che invece sono quasi "alieni" nelle mentalità di alcuni popoli che abitano regioni del mondo ben lontane dalla nostra...
Credo che il contatto diretto e prolungato con la gente e con tanti aspetti della cultura, della mentalità, della religiosità del popolo thailandese, abbiano fortemente influenzato la mia esistenza, inducendomi soprattutto a ridefinire in qualche modo la "scala dei valori" dei vari elementi che fanno parte della vita di ogni giorno, convincendomi a distaccarmi in modo più deciso da alcuni componenti, e facendomi invece apprezzare, rivalutare, e quindi "curare" maggiormente degli altri...

MASSIMO: Noto un tuo grande interesse per la musica tribale, cosa hai percepito di così importante in essa? Vorrei inoltre che ci parlassi della tua predilezione per gli strumenti tribali a fiato...

GIUSEPPE: Mi sono avvicinato agli aspetti etnico-rituali della musica fondamentalmente attraverso Steve Roach e Jorge Reyes.
Inizialmente amavo Roach come musicista elettronico, ma in seguito, quando la sua musica iniziò ad evolversi intorno a contaminazioni di questo genere con i suoi primi album ispirati all'Australia e alla cultura aborigena, ne rimasi enormemente affascinato.
Nel medesimo periodo e negli anni successivi ebbi modo di conoscere altri artisti che in qualche modo seguivano percorsi analoghi, quali Dick Darnell, Coyote Oldman, Forrest Fang, Rusty Crutcher, Laszlo Hortobagyi, Rudiger Lorenz, Lights in a Fat City, Tuu, Robert Rich, O Yuki Conjugate, David Parsons, Tom Wasinger e Jim Harvey...
In seguito così, parallelamente al già consolidato interesse verso la musica ambient, elettronica e sperimentale in senso più lato, è maturato progressivamente un forte interesse verso gli strumenti etnici e la musica con essi realizzata.
Nel 1997 in particolare, dopo aver assistito ad uno splendido concerto dal vivo di Steve Roach e Vidna Obmana a Verucchio, rimasi talmente impressionato dal didjeridoo, strumento che comunque già conoscevo e apprezzavo da tempo, che decisi di procurarmelo e impararlo a suonare.
Ora si trovano un po' dappertutto, negozi di strumenti musicali, di artigianato, su internet, e ce ne sono di ogni genere e provenienza.
Se ne trovano di originali australiani in legno duro di eucalipto scavato dalle termiti, in bambù, in agave, noce, altri di origine indonesiana, sia in bambù che ottenuti da rami di legno duro tagliati nel senso della lunghezza, scavati internamente, e poi incollati e decorati; se ne trovano anche di fattura non artigianale...
Nel 1997 mi fu difficile persino riuscire a procurarmi il primo didjeridoo in bamboo, che acquistai per una cifra assolutamente esagerata rispetto al suo reale valore, ma è un acquisto che non ho mai rimpianto giacchè in ogni caso mi "iniziò" a questo strumento, che imparai a suonare da autodidatta in poche settimane, pur avendo dovuto apprendere la tecnica della respirazione circolare, che fino ad allora non avevo mai avuto occasione di conoscere e praticare.
Debbo dire che per quanto riguarda il mio interesse verso gli strumenti etnici, non ho in realtà particolare preferenza per quelli a fiato, seppure probabilmente sono quelli che ho utilizzato di più giacchè riesco ad integrarne molto efficacemente il suono all'interno delle mie composizioni elettroniche, e giacchè si prestano molto bene ad essere rielaborati e trasformati attraverso processi di editing audio via software.
In realtà un'altra ragione è probabilmente strettamente "pratica".
Considerando che quasi tutti gli strumenti etnici che posseggo li ho cercati, selezionati, scelti, acquistati, e riportati personalmente in Italia affrontando tutte le difficoltà di trasporto e i rischi di danneggiamenti e furti durante gli spostamenti in treno e in aereo, c'è da dire che generalmente il peso e l'ingombro di strumenti a fiato come flauti, oboe, mouth-organ e ocarine è notevolmente minore rispetto a quello di strumenti a corda o a percussione, ed è per questo che, pur possedendo strumenti etnici di ogni genere, la maggior parte di essi sono effettivamente strumenti a fiato di peso e dimensioni relativamente ridotte.

MASSIMO: La tua musica vive i due mondi apparentemente distanti, l'Ambient sintetico, spesso apparentemente "glaciale" e la Tribal Music. Come riesci a "sincretizzare" le due cose nel tuo stile così unico?

GIUSEPPE: Effettivamente il connubio tra elementi sintetici ed elettronici con componenti etnico-rituali può sembrare particolarmente difficile e azzardato, ma in realtà credo che le cose non stiano così...
Uno degli elementi che considero assolutamente fondamentali nella musica elettronica, è quello della ricerca dei suoni e della loro "originalità". Prima ancora che le melodie, le sequenze armoniche, le ritmiche e gli arrangiamenti, l'elemento chiave è la la scelta dei suoni, l'impronta timbrica della sorgenti sonore che si andranno ad utilizzare nelle composizioni.
In quest'ottica debbo dire che spesso mi riesce di trovare nella musica etnica una gamma incredibile di suoni davvero unici, inimitabili, inediti, assolutamente sorprendenti, tutti derivati da strumenti artigianali ottenuti per lo più con materiali poveri, ma realizzati con grande cura e ingegno da popolazioni sparse qua e là negli angoli più remoti della terra.
Strumenti in grado di emettere suoni così incredibili da fare invidia ai più moderni e costosi sintetizzatori.
E' anche per questo che ho cominciato ad appassionarmi agli strumenti etnici e ad usarli largamente nelle mie composizioni elettroniche, infatti riuscivo spesso a trovare in essi quelle sonorità davvero inedite, particolari, ricercate, emozionanti direi, che non riuscivo magari a trovare nelle più diffuse apparecchiature elettroniche.
Talvolta i suoni di alcuni strumenti etnici sono così straordinari da non necessitare di alcuna rielaborazione, ma se aggiungiamo comunque l'ulteriore possibilità di trattare in modo abbastanza semplice ed efficace questi stessi suoni utilizzando ad esempio un comune software di editing audio, si può immaginare le infinite possibilità di ricerca sonora che ci offre il connubio tra l'impiego di strumenti etnici, anche se di fattura quasi "primitiva", e le nuove tecnologie elettroniche e informatiche.
E questo credo sia il punto "chiave" della mia musica, quello cioè di cercare di sfruttare al massimo e in ogni modo, per quello che è possibile ottenere, qualsiasi tipo di componente (strumenti "fisici", software, strumenti etnici, sintetizzatori, computers, apparecchiature elettroniche, registrazioni di rumori ambientali...) senza impormi alcuna restrizione per quanto riguarda il metodo di utilizzo degli stessi, gli approcci compositivi, i processi che conducono alla realizzazione dei brani, le apparecchiature da utilizzare, e cercando di combinare di volta in volta elementi diversi alla ricerca di nuove soluzioni e nuove possibilità di evoluzione.

MASSIMO: Parlaci un po' della tua esperienza che hai avuto e stai tuttora vivendo con il tuo sito web:
"Oltre Il Suono". E' un'iniziativa coraggiosa qui in Italia, quali risultati hai ottenuto da questa lodevole iniziativa?

GIUSEPPE: Circa due anni fa, durante un lungo soggiorno in Thailandia, ebbi l'idea, nata quasi per gioco, di realizzare e mettere in rete un sito, che chiamai "Oltre il Suono" (ora si trova all'indirizzo www.oltreilsuono.com) che fosse interamente dedicato alla musica ambient-elettronica italiana indipendente, allestendo inizialmente una Home Page molto semplice dalla quale era possibile richiamare poche pagine che avevo dedicato ad alcuni miei amici musicisti, (includendo ovviamente anche una pagina dedicata ai miei lavori personali...), e nelle quali riportavo note biografiche sugli autori, le immagini delle copertine dei CD, alcuni frammenti audio estratti dei brani musicali, e ovviamente delle recensioni, a volte realizzate da me, a volte prelevate da altri siti internet o riviste che già ne avevano pubblicate.
Nel giro di pochi mesi, fui letteralmente sommerso da CD-R di autori che in qualche modo erano venuti a conoscenza del sito e volevano propormi i propri lavori per vederli recensiti tra le pagine di "Oltre il Suono". La mia iniziativa aveva suscitato un interesse al di sopra di qualsiasi aspettativa; la voce sull'esistenza di "Oltre il Suono" si sparse a macchia d'olio nell'ambiente, e in breve tempo mi resi conto di quanta splendida musica ambient-elettronica-sperimentale fosse assolutamente sconosciuta ai più, e priva fino ad allora di qualsiasi visibilità e possibilità di diffusione e promozione...
Nell'arco di due anni "Oltre il Suono" si è arricchito di molte nuove pagine, alcune delle quali dedicate ad autori poco noti ma che considero lo stesso molto interessanti e significativi, altre invece dedicate ad artisti sicuramente più conosciuti, come Amon/Never Known, Raffaele Serra, Alio Die, Roberto Laneri e Claudio Ricciardi, che hanno voluto ugualmente esprimere il loro apprezzamento per questa iniziativa, e hanno scelto di collaborare inviandomi il proprio materiale e consentendomi così di arrichire "Oltre il Suono" con pagine dedicate ad artisti di già consolidata fama e notorietà.
Credo che l'elemento principale che ha condotto al grande successo di questa mia iniziativa sia stato nell'aver capito fin dall'inizio che un sito che fungesse da grande contenitore per promuovere la musica di diversi artisti, avrebbe fornito agli stessi un visibilità estremamente maggiore rispetto a decine di siti web personali realizzati individualmente e sparsi quà e là ad indirizzi diversi nell'immensa vastità della rete internet...
Anche i visitatori del sito hanno ora a disposizione un'unica e grande finestra affacciata sull'ampio universo della musica ambient-elettronica-sperimentale italiana, e sanno di poter trovare in "Oltre il Suono" tutte le novità e informazioni aggiornate sugli artisti più interessanti e significativi che appartenengono a quest'area musicale.
Ovviamente le soddisfazioni sono state e continuano ad essere molte, la musica sia mia che di molti altri artisti presenti su "Oltre il Suono" ne ha guadagnato molto in termini di diffusione, e non nascondo inoltre il grande piacere di essere entrato in contatto con molte persone che, prima ancora che buoni musicisti, posso ora considerare anche buoni amici.

MASSIMO: Hai avuto collaborazioni o sessions di gruppo con altri musicisti? Esperienza live?

GIUSEPPE: La mia musica nasce fondamentalmente come musica "da studio", e per questa ragione le mie composizioni, almeno così come è possibile ascoltarle nei miei CD, sono abbastanza improponibili in una dimensione "live". Bisogna considerare che per realizzare brani presenti in albums come "Distant Skylines" o "The Impossible Days" tanto per fare due esempi, ho elaborato, assemblato, e quindi miscelato decine e decine di tracce registrate in momenti diversi, sfruttando strumenti acustici ed elettronici, nonchè sorgenti sonore di vario genere, per lo più processate in un secondo tempo attraverso software di editing audio. E' evidente come un brano che sia stato realizzato in questo modo non possa essere agevolmente riproposto dal vivo, se non sfruttando magari una base preregistrata che contenga il 90% del contenuto musicale e intervenendo in diretta solo in minima parte. D'altro canto sento che questo è il metodo compositivo attraverso il quale riesco ad ottenere esattamente la musica che ho in mente e che desidero realizzare, e quindi non me la sento di modificare il mio approccio alla composizione al solo scopo di rendere in qualche modo più riproducibile dal vivo ciò che di solito vado a proporre soltanto attraverso i miei CD.
Al 2001 risale comunque la mia unica collaborazione significativa con due strumentisti, insieme ai quali, sotto il nome "Lisu", ho tenuto una performance live vicino a Narni all'interno della rassegna "Sirene", una serata dedicata ad alcuni artisti italiani attivi nell'area ritual-ambient-elettronica. Con la stessa formazione e nello stesso anno, ma con il nome "Biasthon", ho realizzato il CD-R "Litam".

MASSIMO: Raccontami qualcosa della genesi di "Fragment from the Lost Time", mi è piaciuto davvero molto. In esso si percepiscono ispirazioni subliminali da Steve Roach e Brian Eno, o sbaglio?

GIUSEPPE: "Fragments from the Lost Time" è l'ultimo CD-R che ho realizzato esclusivamente utilizzando suoni di sintetizzatore, ed è il primo lavoro che ho cominciato a far circolare in modo più ampio, nonchè il più vecchio che ho voluto includere nella mia discografia ufficiale. C'è da dire che fino ad allora l'impossibilità economica di circondarmi di costose e sofisticate apparecchiature elettroniche unita alle limitate capacità dei computers di quel periodo (ho iniziato a fare musica 10 anni fa utilizzando PC dotati di processori intel 80386 e 80486...) mi costringeva a comporre musica sfruttando esclusivamente la possibilità di lavorare via MIDI con il computer e la mia Korg X5. Fondamentalmente editavo i suoni del synth via software attraverso il Korg Soundeditor, giacchè ho avuto sempre una certa "allergia" ai suoni di synth presettati, e usavo il software Cubase come un multitraccia, registrando le diverse parti e ottenendo così delle composizioni che non usavano alcun suono proveniente da registrazioni microfoniche o campioni audio. In questo modo ho realizzato in passato 5 cassette e 6 CD-R fino al 1998, tutti lavori che però non ho mai promosso o fatto circolare ampiamente, e che sono stati ascoltati per lo più da una ristretta cerchia di amici e conoscenti.
Sicuramente nel periodo in cui ho realizzato "Fragments from the Lost Time" era molto forte in me l'influenza della musica di Steve Roach in primo luogo, ma anche quella di altri artisti come Vidna Obmana, Kevin Braheny, Amir Baghiri, lo stesso Brian Eno che hai nominato. Si tratta di un lavoro che, seppure realizzato con mezzi tecnici abbastanza poveri, è stato apprezzato molto soprattutto da chi abbia trovato particolarmente interessanti quegli elementi più spiccatamente melodici e "musicali" che nelle mie produzioni successive sono diventati sempre meno presenti.

MASSIMO: E "Lanna Memories" ?

GIUSEPPE: Nel 2002 l'etichetta francese Taalem mi ha offerto l'opportunità di produrre il mini-CD-R "Lanna Memories", a nome "Nimh", ispirato all'antico regno Lanna, che corrisponde geograficamente al territorio dell'attuale provincia di Chiang Mai, nel nord della Thailandia.
Questo lavoro sfrutta un approccio simile a quello del precedente "Distant Skylines", essendo stato realizzato esclusivamente con strumenti etnici e tradizionali, in questo caso esclusivamente thailandesi, senza l'ausilio di sintetizzatori o altre apparecchiature elettroniche, fatta eccezione del Personal Computer e dei softwares attraverso i quali ho registrato, elaborato e montato il materiale sonoro, integrandolo con alcune registrazioni ambientali da me raccolte durante un precedente viaggio in Thailandia.
E' un lavoro cui sono particolarmente affezionato e che considero tra le mie realizzazioni più riuscite, rappresentando al meglio quella parte della mia musica che fa largo uso di contaminazioni di tipo etnico-rituale.

MASSIMO: "Line of Fire"di che cosa parla?

GIUSEPPE: "Line of Fire", uscito come autoproduzione verso la fine del del 2001, è un lavoro improntato su sonorità prettamente elettroniche, e ispirato agli episodi di guerra nei territori afgani. E' costituito da una miscela di suoni di tipo analogico, parti realizzate con sequencers software controllando i filtri in tempo reale, ispirato in parte alla musica elettronica tedesca di molti anni fa, integrato da parti più cupe e rumoristiche e da frammenti audio campionati da vecchi filmati e documentari d'argomento bellico.
Questo lavoro, cui sono ugualmente molto affezionato, rappresenta al meglio, in contrapposizione a quanto fa "Lanna Memories", quella parte della mia musica che sfrutta un approccio alla composizione più spiccatamente "elettronico".

MASSIMO: Nella tua musica è percepibile una forte dose di "spiritualità". Ti voglio fare alcune domande personali, se me lo permetti. Spesso l'Arte riflette la parte più intima e più nascosta della persona che la crea. Quali sono le tue concezioni filosofiche e religiose? E quanto peso hanno nella tua musica? Ricorri a discipiline orientali per ispirarti?

GIUSEPPE: Debbo dire di non essere particolarmente interessato a tematiche di tipo religioso in senso stretto. Non ho mai aderito a nessuna dottrina religiosa, seppure credo nell'assoluta importanza di una certa spiritualità interiore. Credo che questo tipo di spiritualità maturi con il tempo e si connoti sulla base della proprie scelte e del proprio stile di vita, dei comportamenti, dei valori che si decide nel tempo di far propri e di quelli che invece si decide di non accettare, sul peso e sull'importanza che assegnamo nella vita di ogni giorno a questi stessi valori, ai contatti umani, alle amicizie, al nostro rapporto con la natura, con gli altri esseri viventi, e in senso più generale con l'ambiente esterno, inteso come tutto ciò che c'è al di fuori di noi come singola entità umana...
Piuttosto che scegliere (o peggio ancora accettare passivamente...) una specifica dottrina religiosa, e cercare di adattare e plasmare il nostro credo e i nostri comportamenti ad essa e ai suoi princìpi predefiniti, che siano di tipo comportamentale, morale, o in senso più lato anche filosofici, penso sia molto più interessante e costruttivo maturare nel tempo e con l'esperienza della vita di ogni giorno un proprio modello di spiritualità, delle proprie filosofie di vita, dei propri princìpi etici e morali, e magari confrontare giorno dopo giorno questo nostro tipo di spiritualità, assolutamente unica e individuale, con i modelli proposti magari dalle varie religioni, ma anche con i princìpi spirituali di altre persone che, come noi, abbiano optato per l'"indipendenza" da religioni, filosofie e modelli spirituali per così dire "preconfezionati".
Il mio quindi non è un rifiuto assoluto delle religioni o di uno spirito religioso, ma un desiderio di costruire giorno dopo giorno una mia personale spiritualità, che nasca comunque anche dall'incontro con ogni tipo di esperienza diversa dalla mia con la quale ho l'opportunità di potermi confrontare. Non ricorro dunque a discipline orientali per trarre ispirazione per la mia musica, e più che le mie concezioni filosofiche e religiose, ciò che influisce in modo determinante e che stimola la mia creatività è fondamentalmente la vita quotidiana, gli incontri e i dialoghi con le altre persone, i luoghi che ho l'opportunità di vistare, la musica che ascolto, i libri che leggo, i films che vedo...

MASSIMO: Quali sono i tuoi strumenti musicali di riferimento? E quali usi più spesso?

GIUSEPPE: L'unico "strumento", inteso in senso di "macchinario" onnipresente e assolutamente indispensabile alla realizzazione della mia musica è il Personal Computer.
Per il resto, avendo tra l'altro realizzato tutti CD anche molto diversi tra di loro, la strumentazione o comunque in senso più generale le sorgenti sonore che utilizzo, cambiano in modo imprevedibile di volta in volta. Posso dirti che in questo momento ho diversi software musicali installati sull'hard disk del mio computer che sfrutto sia per generare suoni che per elaborare il materiale già registrato, ho una Korg X5, ma soprattutto numerosissimi strumenti etnici di vario genere. Strumenti a fiato: vari Didjeridoo (anche autocostruiti), Khaen, Falù, Khlui, Pee Chawa, Pee Nai, Wode Klom, Wodi Phan, ocarine, un oboe dalla Giordania di cui non conosco il nome; strumenti a corda (pizzicate o da suonare con l'archetto): Sueng, Pinn Pia, Salaw, Saw Duang, Tzeebu, Jakee, una sorta di Berimbau autocostruito, una rudimentale arpa birmana; percussioni: Klong Yao, Ramana, Thon Chatri, Click Sticks... Ho poi dei cembali (Ching, Chaab) un piccolo gong thailandese (Mong), un sansa indonesiana, uno xilofono di legno thailandese (Ranak), dei Bullroarer, un Rainstick, due Guiro... Insomma, posso dire in sostanza che mi piace circondarmi di qualsiasi oggetto sia in grado di emettere suoni, con una certa predilezione per gli strumenti etnici, che il più delle volte amo utilizzare in modo non convenzionale, estraendone magari brevi sequenze o anche singoli suoni che poi rielaboro e "plasmo" a seconda delle esigenze con il Personal Computer.

MASSIMO: Quali sono le musiche che consideri un riferimento da sempre?
E quali consiglieresti ai nostri lettori?

GIUSEPPE: Su un quesito del genere avrei da parlare all'infinito, ma per dovere di sintesi posso provare ad indicarti, senza ordine di preferenza, una quindicina di titoli di CD che considero assolutamente indispensabili nella mia formazione musicale, e che quindi mi sentirei di consigliare senza dubbio anche ai lettori:

- On Land, di Brian Eno
- Mirage, di Klaus Schulze
- Dreamtime Return, di Steve Roach
- Ending Mirage, di Vidna Obmana
- Yatra, di David Parsons
- The Ready Made Boomerang, di Deep Listenings Band
- Minerva's Web/The Tears of Niobe, di Stephan Scott
- Primal Image, di Alan Lamb
- Permafrost, di Thomas Koner
- Pazifica, di Rudiger Lorenz
- Digital Avatar, di Raffaele Serra
- The Legacy, di Amon
- Sit Tibi Terra Levis, di Alio Die
- Music of Northern Thailand, musica tradizionale thailandese
- Sounds from the Bush, musica tradizionale degli aborigeni australiani

MASSIMO: Un elenco organico delle tue realizzazioni, e quali sono quelle a te più care.

GIUSEPPE: Escludendo le vecchie cassette e i CD-R che non ho voluto includere nella mia discografia ufficiale, le mie ralizzazioni sono:

- 1998, "Fragments from the Lost Time", a nome Giuseppe Verticchio, CD-R autoprodotto, del quale abbiamo già parlato.
- 1999, "Tjukurpa", a nome Giuseppe Verticchio, CD-R autoprodotto. E' il primo lavoro nel quale, grazie alle nuove possibilità offerte da computers e software che divenivano sempre più potenti e accessibili, ebbi la possibilità di miscelare suoni di basi sintetiche ottenute con il mio sintetizzatore con il suono del didjeridoo e altre registrazioni microfoniche. E' un lavoro evidentemente ispirato alla cultura degli aborigeni australiani.
- 2000, "Resonant Ambiences", a nome Giuseppe Verticchio, CD-R autoprodotto. E' il primo CD-R che conteneva già interi brani realizzati senza l'ausilio di sintetizzatori, avendo sviluppato un particolare interesse per la registrazione e la rielaborazione via software di sorgenti sonore di origine non elettronica.
- 2000, "Frozen", a nome Giuseppe Verticchio, CD-R autoprodotto. Si tratta di un lavoro eslusivamente elettronico, freddo e glaciale come il titolo lascia supporre, di impronta molto statica. Qualcuno lo ha definito "terminal ambient", e io lo considero tuttora un lavoro particolarmente "ostico" e "difficile", seppure debbo dire che, con mia grande sorpresa, è uno dei miei CD-R per i quali ho ricevuto i maggiori apprezzamenti...
- 2001, "Distant Skylines", a nome Giuseppe Verticchio, CD-R autoprodotto. Questo lavoro è nato in seguito ad un nuovo viaggio in Thailandia durante il quale ho approfittato per acquistare e riportare in Italia molti strumenti etnici e tradizionali locali. Si tratta del mio primo CD-R realizzato esclusivamente con registrazioni di strumenti acustici, campionamenti di voci e field recordings rielaborate e miscelate con l'ausilio di editor software e programmi di montaggio audio su PC. In questo disco ogni suono, anche quello più apparentemente "elettronico", è stato in realtà generato a partire da registrazioni microfoniche di strumenti acustici.
2001, "Litam", con la formazione "Biasthon", CD-R autoprodotto. Si tratta di un lavoro nato dalla collaborazione con due strumentisti costituito da una miscela di sonorità etnico-rituali ed elettroniche.
2001, "Line of Fire", a nome "Nimh", CD-R autoprodotto di cui abbiamo già parlato. Desidero soltanto aggiungere che in quel periodo, dopo aver riscontrato un certo interesse per la mia musica anche all'estero, ho maturato la decisione, per lo più "strategica", di adottare uno psudonimo che fosse più facilmente pronunciabile e memorizzabile anche da chi non avesse dimestichezza con la lingua italiana, e scelsi così di siglare a nome "Nimh" questo mio lavoro nonchè le mie successive produzioni musicali.
2002, partecipazione a "Beyond the Sound", CD-R autoprodotto. Dopo circa un anno di attività su "Oltre il Suono", ho realizzato, con la partecipazione di alcuni artisti con i quali ero in contatto, questa compilation di musica interamente italiana, contenente brani di vari autori attivi nell'area ambient-elettronica-sperimentale, e contribuendo alla stessa con il brano "Streets of Teheran".
2002, "Lanna Memories", a nome "Nimh", CD-R Taalem Records. Anche di questo lavoro ne abbiamo già parlato.
2002, "Frozen", a nome "Nimh", CD-R AFE Records. A seguito dei contatti avuti con Andrea Marutti, responsabile e curatore della prestigiosa etichetta italiana, questo mio vecchio lavoro è stato prodotto e riproposto in una nuova versione elegantemente aricchita sotto il punto di vista della grafica e della confezione.
2003, "The Impossible Days", a nome "Nimh", CD-R autoprodotto. Questo recentissimo lavoro torna nuovamente su sonorità prevalentemente elettroniche, raccogliendo in un certo senso alcuni elementi già presenti nella mie precedenti produzioni, ma riproponendoli in una forma più complessa e arricchita di nuove situazioni.

Debbo aggiungere che parallelamente alla mia attività musicale personale, in questi ultimi anni ho collaborato alla realizzazione di CD-R di altri artisti.
In particolare ho curato le fasi di post-produzione, mastering finale e realizzazione grafica di alcuni lavori di Nefelheim, un autore che considero particolarmente interessante per quanto riguarda l'attuale scena dark-ambient italiana, e del CD-R "Footsteps on Dead Leaves" di Talharion, il nuovo progetto dark-ambient di Raffaele Serra, un artista il cui nome parla da sè, considerando la notorietà anche "storica" di un personaggio che è un punto di riferimento assoluto per tutta la musica elettronica-sperimentale italiana dell'ultimo ventennio.

MASSIMO: I tuoi progetti futuri? C'è qualche nuovo lavoro all'orizzonte?

GIUSEPPE: Idee moltissime come al solito, ma non so ancora se, quante, e quali di esse sarà possibile vedere effettivamente realizzate in forma di nuovi CD. Ho in mente una specie di "seguito" di "Frozen", un progetto dark-ambient, l'idea per realizzare un CD facendo uso quasi esclusivo di strumenti a fiato più o meno rielaborati elettronicamente... Vorrei inoltre approfondire il percorso musicale che ho appena intrapreso con "The Impossible Days", realizzando qualcosa di nuovo che parta però da un approccio compositivo abbastanza simile. Al momento c'è inoltre una collaborazione già avviata con Amir Baghiri, per la realizzazione di un lavoro che spero possa concretizzarsi e prendere una forma definitiva nei prossimi mesi...

 

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